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Ott. 2012.(agg. 2015, 2019, 2020, 2021)

Ciao al lettore!

Le fotografie non hanno nessuna pretesa artistica. Non tutte sono ben fatte, ma ho dovuto acquistare dimestichezza con la mia macchina fotografica digitale……! Col tempo senz’altro saranno più belle ed altre le sostituirò.

Le fotografie, comunque, sono senza utilizzo del flash ed in alta risoluzione e servono, nei comprensibili limiti (perché quando vengono caricate sul sito perdono risoluzione), a mettere in evidenza chiaramente la mignon; si possono ingrandire molto, per meglio distinguere le differenze tra le mignon nella stessa foto e per poter  vedere le differenze tra una e le altre, poiché la maggioranza delle differenze (dalle quali si può desumere la “storia” del liquore stesso, ovvero, della casa produttrice) , si trovano LEGGENDO  l’ etichetta, principalmente, ed “interpretando” le scritte , il tipo di stampa, lo stile dei disegni e della scrittura,  il tipo di carattere usato, il formato ecc.; LEGGERE CON ATTENZIONE LE ETICHETTE

Ed anche dalla forma del VETRO, dal suo colore, dal tipo di TAPPATURA e, non ultimo, il tipo di CONTRASSEGNO  di stato per gli alcoli, che non in tutti gli Stati (come in U.K.- Francia – Germania) viene applicato; mentre negli U.S. è stato applicato fino alla fine degli anni ’80 e spesso riportava la data di apposizione, che dà la possibilità di datare la mignon all’anno esatto di produzione.

L’Italia ( vedi: Galleria CONTRASSEGNI) “ci ha dato dentro di brutto” con le variazioni del contrassegno, le cui emissioni hanno seguito gli eventi bellici e le miriadi di variazioni legislative degli anni ’50, ’60 e’70, e ci sono anche adesso, ovviamente:  inizio anni ’30 erano già di carta filigranata, ma durarono poco, sostituiti da quelli che noi collezionisti chiamiamo “bollino” o “sigillo”(che non ha nulla a che vedere con l’aggettivo “sigillato”), che fungeva anche da  garanzia di non manomissione del liquore contenuto nella bottiglia. Infatti molti rivenditori imbottigliavano i liquori che vendevano, col permesso del produttore, ovviamente, al quale si sostituivano anche nel pagamento dell’ imposta, sigillandole (questo sì) con le tappature personalizzate, ed applicando, con le chiusure fornite dallo stato, il contrassegno metallico (imposta pagata all’ U.T.I.F., Ufficio Tecnico Imposte di Fabbricazione, che ancor prima era U.T.I.S.). L’ agenzia tributaria concedeva la licenza per la produzione e/o vendita degli alcoli, con un numero assegnato (Licenza UTIF di produzione a caldo N…, per le distillerie; licenza UTIF a freddo N…per le fabbriche di liquori). Ne consegue che più basso è il numero della licenza di fabbricazione, più vecchia è la distilleria e più vecchie sono le mignon che essa può aver messo in vendita: ecco… le probabili rarità da trovare!

Dato sensibile anche la  “fascetta”, che ha stampata la lettera dell’alfabeto, seguita da numero di serie e sottoserie progressivi, dalla quale, leggendo il numero di serie, si può desumere facilmente se  è vecchia o meno: se porta la lettera A Serie 001 / sottoserie…, è senz’altro una delle prime produzioni, molto più vecchia, per esempio di quella con le lettere AA o DM Serie 001/sottoserie…; c’è poi il colore da considerare…..

Particolare tutt’altro che trascurabile nei contrassegni di carta filigranata è il bordo, che, inizialmente, era dentellato, come nel francobollo, e veniva strappato manualmente.

—-> Le prime “fascette”  ( ante 1933 ), sostituite poco dopo (Regio decreto legge 2 febbraio 1933-XII n. 23 e 27 novembre 1933-XII, numero 1604) dai contrassegni metallici prima con lo Stemma Sabaudo (o con lo Stemma Sabaudo con i fasci littori ai
due lati, definito semplicemente “STEMMA SABAUDO”), sono senz’altro molto diverse da quelle che io conosco, cioè col semplice simbolo Reale del Regno di Sardegna (Savoia).
Dato che il fascismo era al potere dal 1922, appoggiato anche dal re, la conclusione logica sarebbe che i contrassegni con lo stemma sabaudo e fasci sono i primi a sostituire quelli in carta filigranata dal 1933/’34.
Sul “Vol. II sugli Spiriti” del 1943, trovato in un mercatino anni fa, sono riportate direttive ed istruzioni sull’applicazione dei contrassegni di Stato, che però definiscono chiaramente che ” il contrassegno è costituito da un bollino metallico recante impresso su di una faccia lo stemma —> “Sabaudo”, ma nelle illustrazioni in allegato (sempre riferite alla legge del 1933), che mostrano i vari tipi di legatura per l’applicazione dei contrassegni, su essi appare chiaramente anche il disegno (piuttosto …elementare) del fascio ai due lati dello stemma sbaudo e riporta, altresì, ulteriori esempi di applicazione del contrassegno metallico per evitare il riempimento fraudolento delle bottiglie di liquore (vedere la Grappa da litro GALLERIA MORONI), SMENTENDO così il convicimento attuale, che colloca il contrassegno collo stemma SAVOIA in quel periodo (cioè 1933 – 1944/45). Mentre è da collocare, invece, nel periodo successivo, cioè dopo la caduta (1943) del fascismo e fino al 1946.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, dopo la proclamazione della Repubblica Italiana, Giugno 1946, sul contrassegno metallico venne provvisoriamente impresso il profilo di giovane donna, simbolo rappresentante la Nuova Repubblica Italiana, lo stesso simbolo che era stampato sulle schede elettorali del 1946: sono i meno comuni, ovviamente, perché durarono poco meno di tre anni, poi sostituiti con l’ultimo, che ha impressa la stella a cinque punte al centro di una ruota dentata, tra fogli di ulivo e quercia, in vigore dal maggio 1948.

Se dal 1933 veniva definito STEMMA SABAUDO lo stemma del Regno d’Italia coi fasci littori ai lati, è quantomeno ovvio che lo stemma senza è successivo, ovvero dopo il 1943/1944. Vorrei anche ricordare che tra il 1943 ed il 1945 fu realizzata la Repubblica di Salo’, che istigò una guerra civile tra partigiane e fascisti (= incertezza sull’appartenenza, fino al referendum nazionale del 1946).

Tra il 1946 ed il 1949 veniva anche applicata un tipo di fascetta in carta con il logo provvisorio, molto semplice, della REPUBBLICA ITALIANA, con le due parole iscritte in un cerchio: REPUBBLICA , sotto l’arco superiore del cerchio, ITALIANA, sotto il diametro dello stesso. Le B. con questo tipo di contrassegno sono difficilmente reperibili.

Successivamente ad un secondo concorso nazionale (21 gennaio 1948), il logo definitivo della Repubblica Italiana venne stampigliato anche su quello metallico, che, dal 1952, fu definitivamente sostituito dal contrassegno in carta filigranata

Nel 1952 cominciò, dunque, l’applicazione dei contrassegni in carta filigranata col logo definitivo (nato da un secondo concorso pubblico, istituito il 21 gennaio 1948, per disegnare il nuovo emblema della Repubblica), ma, per le ditte, fino ad esaurimento delle scorte di contrassegni metallici si poté continuarne l’utilizzo; ho una bottiglia di una ditta locale veronese datata 1967…..

Per chi cerca la mignon di antiquariato è proprio questo l’argomento primario: il settantennale BOLLINO, perché, prima dell’avvento dell’industrializzazione, non si producevano migliaia di mignon al giorno, come faceva la STOCK di Trieste negli anni ’70, ma si faceva tutto il procedimento produttivo a mano: hai voglia…..!

Se poi consideriamo il fatto che i primi collezionisti di mignon toglievano il “Bollino” da esse  perché, a ragione, antiestetico, possiamo tranquillamente concludere che non è il certo “Bollino” unico testimone dell’età della mignon, specialmente dagli anni ’50 in poi ( con l’avvento, anno 1952, delle “fascette”, essi furono sostituiti, ma fino ad esaurimento delle loro  scorte: periodo che continuò anche negli anni ’60), ma molti altri particolari.

Per indicare le date di fabbricazione della mignon o bottiglia (sempre B.; non credo sia difficoltoso distinguerle in foto, perciò ho ritenuto inutili le “misure”), se non chiaramente indicati sul V. o nell’E. le ho suddivise in tre periodi per decennio (per es.: 1950 / 1953 —> primi anni ’50 – 1954 /1956 —> metà anni ’50 – 1957 /1959 —> fine anni ’50

Partendo dal 1934, primo anno d’inizio dell’applicazione dei contrassegni, fino alle probabili ultime sue applicazioni (metà anni ’60 del ‘900), si contano ben trent’anni, durante i quali i sigilli metallici furono applicati alle mignon di liquori; e  quelli  col sigillo “stella” per almeno 13 / 14 anni, in un periodo d’inizio industrializzazione e meccanizzazione…..

Cosa molto importante per distinguere il sigillo “stella” di prima emissione: esso (“1o tipo”) portava impressa sul retro la misura “fino a l 1/4” (cioè anche per le mignon), come in quello “testa di donna” e precedenti, perché i tagli superiori dei contrassegni misuravano l’imposta —> oltre l…a l (oltre l 4/5 a l 1, per es).

Di seguito passarono ai tagli fissi: LITRI 1/4.,  LITRI 1/2, LITRI 3/4, LITRI 1 …. e, per le mignon, FINO A LITRI 1/10 (“2o tipo”). Logica deduzione: tra due mignon col sigillo “stella” la più vecchia è quella con impresso il taglio ” Fino a l 1/4 ” (“1o tipo”).

Ed anche qui ci sono le  varianti: esistono mignon identiche, o quasi, con due o tre diversi contrassegni, o ”bollini”, o “sigilli” (corrispondenti a diversi periodi di distribuzione), che poi sono diventati “fascette” di carta filigranata,  applicati sempre agli stessi liquori, oltreché alle nuove produzioni. Molto spesso ciò ha portato a cambiamenti o modifiche delle relative etichette: un altro modo per datare la mignon.

Purtroppo (e questo è un mio pensiero) la modifica a “taglio fisso” ha permesso la manomissione delle mignon, permettendo di aggiungere ad esse i contrassegni delle bottiglie da un quarto di litro, molto meno valorizzate e meno interessanti. Infatti, mentre il bollino precedente, che veniva applicato alle bottiglie di capacità fino a l 1/4, andava applicato anche  alle mignon, tra quelli successivi a taglio fisso ne era previsto uno in più: quello per le bottiglie fino a cc.100 di contenuto ( cioè la massima capacità di una bottiglietta, che noi  consideriamo mignon),  ma sul retro riportava FINO A L. 1/10. Il taglio successivo era: LITRI 1/4 ( non più: Fino a l 1/4…). Ciò significa, che il contrassegno metallico per le mignon non poteva essere quello con la dicitura LITRI 1/4.
Concludendo: quando i tagli non erano fissi, non poteva esserci quello da l 1/4, perché dichiarando “Fino a l 1/4”, cioè fino a cc.250, comprendeva ovviamente la capacità da cc.100  ed il taglio “FINO A LITRI 1/10” non esisteva ( venuto, come già detto , successivamente).

Poi c’era anche quello da 1/4, 1/2 ecc. …Purtroppo anche questa non era una regola, perchè, con la disposizione di esaurire le scorte dei vecchi contrassegni, quello da 1/4 di L, tassa già pagata, poteva essere tranquillamente applicato alla mignon da 1/10 di L, in quanto, precedentemente, questo “taglio” era compreso ( la stessa cosa vale per i contrassegni di carta, che portavano le stesse due diciture “fino a l 1/4” e, per i successivi a taglio fisso, unico, “fino a l. 1/10”, ma in questo caso la colorazione era DIVERSA). Possono essere d’esempio le mignon TOSCHI: alcune, identiche, portano i due contrassegni metallici: da “fino a l.1/4” oppure da “l.1/4”. Ovviamente ci sono anche quelle col contrass. “fino a l. 1/10”, ma a me il DUBBIO rimane….almeno per altre, perché, se alcune Aziende a distribuzione locale li hanno correttamente utilizzati, qualcuno, per anni, ne ha approfittato per “aggiungerne” anche di più recenti!!
Probabilmente quando è avvenuta la modifica le aziende dovevano comunque esaurire i contrassegni pagati ed una volta finiti quelli “fino ad 1/4″, alcune hanno utilizzato quelli a taglio fisso da” L 1/4″, da esaurire (vedi i due FERNET BRANCA coi contrassegni in carta) anche per le successive modifiche.

OSSERVARE CON ATTENZIONE COME I CONTRASSEGNI DI STATO LIQUORI SONO STATI APPLICATI ALLE CHIUSURE
—>> Interessante la GALLERIA “CONTRASSEGNI”

Importantissima è la TAPPATURA : posso tranquillamente dire che, se il tappo è in sughero, la mignon è senz’altro molto vecchia, antecedente agli anni ’60, anche se alcune ditte già negli anni ’30 – ’40 usavano un tipo di tappo a vite, senza lo strappo, molto usato negli Stati Uniti fino agli anni ’70.

In INGHILTERRA le vecchie mignon hanno avuto sempre il tappo in sughero, oppure un tappo a strappo, molto più robusto dei nostri tappi a strappo utilizzati negli anni ’60, che permetteva una migliore “tenuta alcoolica” (ma non sempre, purtroppo).

A VOLTE E’  DIFFICILE CAPIRE SE I SEGNI SULLE CHIUSURE SONO CAUSATI DA MANOMISSIONE ( cioé : AGGIUNTA  “FRAUDOLENTA” DEL BOLLINO o RIEMPIMENTO A POSTERIORI ) O DAL TEMPO EFFETTIVAMENTE  TRASCORSO.

Spesso la differenza è sulla parte piana della chiusura, dove è impresso o stampato il nome della ditta produttrice e, purtroppo, dalle foto non si vede: posso tranquillamente dire che quelle vecchie quasi sempre avevano stampigliature sul tappo ed anche sul vetro. Poi, col passare degli anni e l’aumento dei costi, queste cose non si sono più fatte, come  non si è più rispettata la forma della bottiglia originale.

Per concludere l’elenco dei dati sensibili, e non certo ultimo, ecco il  VETRO  della bottiglia o mignon, che  già a prima vista dichiara la sua età. I più antichi sono in vetro soffiato, sottile e non sempre di forma perfetta, alcuni con il vetro serigrafato (bellissime). Poi la tecnica permise di produrli con gli stampi e qui cominciano a vedersi i vetri con stampato il nome della ditta, o col suo marchio, o motti pubblicitari (vedi l’Amaro Ramazzotti). Ho trovato una mignon che ha tutti i dati commerciali su vetro: nome del liquore, capacità, gradaz. alcolica, licenza utif, coloranti….e niente etichetta. Idem per le mignon del PUNCH BONOMELLI, con i dati di legge impressi sulla linguella del tappo a strappo.

Cosa impensabile oggi: con i costi attuali è già difficoltoso metter in commercio le mignon con i vetri uguali per tutte le ditte produttrici, mentre una volta il liquore aveva il suo vetro classico, specialmente per i liquori dolci: il MILLEFIORI con la bottiglia alta, affusolata; il DOPPIO KUMMEL in bottiglia cubica, con angoli smussati e perimetro scanalato, oppure a base rettangolare e lati molto arrotondati; la GRAPPA con vetri semplici e grezzi; il COGNAC o il BRANDY, in elegante vetro leggermente tronco-conico e collo lungo, slanciato; il VERMOUTH, vetro classicissimo; il MARASCHINO, sempre “impagliato”….. Alcuni vetri hanno anche stampigliata alla base  la data di fabbricazione, elemento utilissimo per le valutazioni.

Ciò  si trova anche nelle mignon Americane, che non hanno molte forme diverse tra loro, ma, in compenso,  hanno vetri lavorati, bellissimi ed originali (come la OLD  MISTER BURTON o la BARDSTOWN DISTILLERY) , cosa che non si vede nelle mignon inglesi, sempre semplici e con poche varietà se non nei colori del vetro: verde, marrone chiaro marrone scuro, qualche volta dorato, quasi sempre cilindriche o piatte e da anni fanno solo vetri uguali, di serie, per tantissime ditte produttrici di scotch whisky. Ma ne hanno fatte di belle, per l’esportazione negli Stati Uniti negli anni ’30 ’40 (vedi  la McCONELL’S DISTILLERY o la LONG JOHN).

I COGNAC in Francia adottarono forme ancora oggi immutate e simboli della  ditta produttrice: HENNESSY, CORVIOSIER, MONNET, MARTELL, GASTON de LAGRANGE, CROIZET; la classicissima forma appiattita del distillato di vino ARMAGNAC…

LE DISTILLERIE NON USAVANO QUALSIASI TIPO DI VETRO PER IMBOTTIGLIARE I LORO PRODOTTI, ANZI, NE FACEVANO UN LORO SEGNO DISTINTIVO E PROPRIO PER QUESTO SPESSO LE MARCAVANO, ma dall’avvento della G.M.A. ….. tutte in vetri uguali; cambia solo l’Etichetta.

Si capisce, a questo punto, che le VARIANTI posso essere tantissime ed a volte molto difficili da notare, perchè possono consistere in piccole parole, nella lunghezza o nel numero di righe sull’etichetta, nella variazione del grado alcolico, nelle caratteristiche della stampa, gli angoli dell’etichetta ecc.

Spesso cambia il colore, anche se il contenuto  è sempre quello; vuoi per l’invecchiamento (brandy: più o meno dorato), o per il colorante, oppure perchè il liquore è stato rifatto anni dopo …

Sono sicuro che molte sono decisamente difficili da scoprire. Questi componenti della bottiglia di liquore, sia piccola che grande, danno indicazioni molto attendibili, a volte anche precise, sulla sua età di fabbricazione, ma bisogna saperle interpretare giustamente e non sempre è facile. Come per tutto, ci vuole esperienza e ricerca,  perchè non esiste un catalogo “ufficiale”, che possa dare indicazioni in merito.

Personalmente ho avuto da un collezionista australiano una pubblicazione che permette di datare le mignon americane, leggendo le stampigliature sul vetro, alla base, non sempre presenti con la data, ed anche sulle emissioni dei vari contrassegni di ogni stato americano che li ha utilizzati, perchè poche sono datate. E’ in inglese. Ma ho tradotto ed ora conosco.

Pochissime aziende italiane hanno mantenuto ricordi delle vecchie produzioni, conservato la loro storia: tante hanno buttato via tutto, svenduto, sotterrato, o mai tenuto niente del passato. Così è molto difficile ricostruire la loro storia.

Ma, per loro, potremmo farlo noi collezionisti con le nostre mignon e bottiglie d’antiquariato: devo dire anche con piacere, che numerose ditte stanno collaborando, o chiedono collaborazione, per tentare di ricostruire il passato. Non è bello dimenticare, anche se si tratta soltanto di bevande; anche questo è storia, cultura, piacevole ricordo dei “bei tempi andati”.

Voglio però dire con piacere, da collezionista oltre che da consumatore (non di mignon!), che da alcuni anni sono tornate in produzione mignon di pregio, curate nei particolari, esteticamente pregevoli, a dimostrazione che la miniatura di liquore è tornata ad essere importante veicolo promozionale, con nostra conseguente soddisfazione: qualcosa di nuovo e di bello possiamo ancora trovare, per le nostre vetrine!